La solidità e la trasparenza del vetro, la sua preziosità, l’armonia delle linee che lo innervano e dialogano con gli oggetti come se fossero tutti elementi di un’unica partitura musicale. Ne esce un’opera di notevole spessore concettuale in grado di comunicare messaggi che travalicano la materia formale in quanto sostanza immobile, facendosi via d’astrazione.
Eppure è un’opera che racconta una storia , un’”altra” storia, perché non scritta, dimessa, quotidiana e forse, proprio per questo degna, finalmente, di essere narrata. Una storia al femminile nuova, dicevamo, perché non basata sull’usato e abusato stereotipo femminista che parla di donne dominate e uomini oppressori.
Nives non cade in questa trappola: la “sua” storia ha, sullo sfondo, Ranica tra la fine dell’’800 e i primi decenni del ‘900: magari disuguaglianza c’era, ma anche uno spazio, mobile o teso, in cui queste donne non erano fatalmente vittime né eccezionalmente eroine. Ed è la raffinata ricerca creativa di Nives che si sostanzia in quest’opera di estrema seduzione e capace di dar vita a una vera e propria storia che spazia agilmente dall’allusione alla esplicita figurazione, in un continuum che risulta sempre in divenire quasi fosse sospeso in una atmosfera atemporale.
Ecco allora questo spazio in cui l’artista ha inserito i suoi, i nostri, protagonisti: un blocco di vetro massiccio lavorato in superficie , all’interno fibre di tessuto e il disegno della mano di una donna che lavora al telaio. Non è soltanto uno sfondo, è qualcosa che ci appartiene, perché sappiamo che è ambiente nostro e lo riconosciamo da tanti segnaliUna donna che lavora al telaio: “…la mia prima entrata allo Zopfi...era il giorno del mio quattordicesimo compleanno…ma mia madre era entrata in tessitura nel 1914 a 12 anni”; donne bambine che dopo un apprendistato assai breve passavano sulle macchine, sui rings della filatura o sui telai.
E questo telaio che incornicia e, in certo modo, imprigiona la mano è proprio uno di quei telai che venivano usati per insegnare alle nuove operaie il lavoro. L’artista ci introduce così ad altre protagoniste di questa storia: quelle “maestre” la cui presenza articolava l’universo femminile , rappresentavano le uniche figure legittimate alla trasmissione di un sapere che era frutto però di una esperienza collettiva di lavoro. Condividevano con le operaie i faticosi processi di adattamento ai filati e alle macchine e contribuivano a configurare quello delle donne come un gruppo a sé, gerarchicamente differenziato da quello degli uomini.
Ma Nives traccia una mano, di operaia, di maestra, di bambina, una scelta che credo rimandi a quei corpi femminili coperti, nascosti sotto grembiuli e cuffie, una fisicità negata o, meglio, percepita e fatta percepire come neutra e asessuata. E ancora di questo universo ci parla la spilla da balia ….donne, madri che supportavano l’economia famigliare conciliando famiglia figli, telaio :”…mi portavo i figli in fabbrica durante i turni di notte…non volevano dormire da soli”.
L’artista ha scelto con cura i suoi oggetti mutuandoli dalla nostra storia antica, ma li ha rivisitati in modo personalissimo con il desiderio di dare a ciascuno un valore assoluto, facendo quasi specchiare in essi tutto quel sentire che prova componendo, assemblando in un unicum poetico ciò che prima era materia inerte.
“Cooperativa di consumo fra gli addetti alla ditta Gioachino Zopfi di Ranica” così la dicitura sulle piccole monete utilizzate nello spaccio interno alla fabbrica. Spacci fondati e voluti dagli industriali per “agevolare” i lavoratori e ridurre il costo della vita, ma, in realtà, una manovra imprenditoriale per giustificare ulteriori riduzioni salariali.
Oggetti poveri, che parlano di povertà accanto ai quali brillano le rocchette in vetro filato e c’è una felice reciprocità tra il colore opaco delle monetine e questi fili scintillanti per la luce catturata che il colore lascia trasparire. Forse è questo che ci rimane del racconto di Nives, piccolo squarcio narrativo senza vincitori né vinti, senza risoluzione, senza finale, rimane questa sorta di colore-luce , col suo continuo gioco di mutazioni , emozioni sottili, fragili equilibri, volubili umori. E’ la materia fluida e allusiva con cui Nives sa dar corpo alle sue intuizioni. Ed è proprio questo straordinario legame con la vita, col pensiero si contrae e si espande nel suo farsi forma a caratterizzare questa ricerca che, attraverso il colore e la preziosità del vetro da un lato e i materiali più diversi dall’altro , in un flusso continuo di smarrimenti e conquiste, rivela, ancora una volta, l’eterno sondare l’essenza del mistero dell’arte, mistero sublime, immerso nella sacralità e proposto come offerta di salvezza.
Orietta Pinessi
Novembre 2012