Vittorio Mottin

Viva Carta Vivo Vetro Viva Arte
1 - 31 - Luglio 2017 Hotel 38 Mi

Pezzi di igloo fusi con il colore o blocchi di trasparenze elaborati con il disegno: tali sono le opere di Nives. neve sciolta nel vetro lavorato da lei, maestra vetraia, che quasi si diverte a mettere dentro contenuti la sua sensibilità di pittrice.
Sembra che il vetro sia passato tra le mani di un pastaio e le mani, sprofondate nella fusione, restino come impronte visibili dentro, nascoste trasparenti visibili disegnate.
E i volti appaiono resi alla Matisse, appoggiati come foto ricordo su blocchi pettinati dal colore. Sembra che le mani tracciate vogliano muoversi seguendo le linee della vita tracciate per maghi invogliati ad interpretarle.
E anche le vene pulsano come fossero rigagnoli che si divertono a rincorrere le ondulazioni create a effetto.
Pezzi unici non squadrati che documentano l’avventura della ricerca sempre nuova, sempre diversa.
Nella libertà del colore obbligato a fermarsi appaiono e fumo di ghiaccio e piume evanescenti.
Trasparenze firmate con un accennato delicato disegno dentro alle volte nel ricordo di Mirò.
Informe battito del cuore e gioco di emozioni.

Vittorio Mottin
Luglio 2017

Liliana Giordano Grosso

Fluide fusioni dell’anima

Non è facile scrivere su foglio (e di ogni parola bisognerà rispondere)ciò che le opere di Nives Marcassoli ci comunicano. E parlo al plurale perché, nello spazio di "Ethos dell'Arte Gallery" in un incontro avuto appunto con l'autrice e con un pubblico convenuto lì per una sua mostra, le opinioni potevano concordare oppure divergere. In fondo, questo è il tributo che l'arte, in questo caso le opere di Nives, ci chiede di pagare. Nives Marcassoli usa una tecnica davvero inusitata; tecnica che lei applica nel suo laboratorio a Pavia dove opera e vive. La nostra artista prima disegna sul vetro, poi col calore fissa i suoi disegni nel vetro, fonde più volte vetri colorati e lavora infine la superfice ad alta temperatura, E ancora mola e lucida i suoi pezzi. Compiuto questo procedimento, alla vista di ognuno di noi, balza fuori l'opera in vetro di Nives. E i vetri sono colorati, vogliono testimoniare le fasi dell'animo umano, le emozioni della vita e la profondità del pensiero. Ho, qui, davanti a me, certe sue opere e quelle che, a mio parere, fanno percepire certe circostanze di meditazione. Sono " Carezza" e " Serenità" ed ancora "Scintilla". E che dire poi di "Eros" o di "Dialogo e di "Equilibri". Ecco, per me, in questo trittico, Nives riesce persino a sfiorare, e a volte penetrare, un discorso politico, umano davvero. In tutto, porgendo all'osservatore attento, una forma di assoluto pudore. Desidero tornare all'"oggetto-opera" di Nives. La tocco, ne vedo la luce trasparente e sconfinata, e mi accorgo che ogni vetro colorato è silenzioso e cela spesso un volto umano. Tutto ciò per me è racchiuso nelle opere di Nives, a compimento in senso assoluto del pensiero della nostra autrice.

Liliana Giordano Grosso
Febbraio 2017

 

Silvia Ferrari Lilienau

Tra le molte possibilità che il vetro offre a chi lo plasmi due sono quelle privilegiate nei lavori di Nives Marcassoli, antitetiche e però convergenti: la lettura in trasparenza, e la sparizione dell’immagine inserita nella pasta vitrea. Per lo più mani, o parti del corpo, echi di presenza umana che galleggiano tra acque simulate, che si increspano, cambiano direzione, si raccolgono facendosi più vischiose. Il colore di volta in volta asseconda l'emersione oppure spinge in profondità.
C’è una componente materica forte, nello spessore che Marcassoli sceglie, a volte – nella forma squadrata – come se reiventasse metope di un teatro postmoderno. Nell’equilibrio del profilo contiene l’esuberanza caramellosa del vetro, che è virtù rischiosa, là dove sfugga alla ponderazione. Il rischio è cioè di eccedere in ornamento, e di convertire in melassa il carattere cristallino del vetro.
Marcassoli tratta piuttosto la composizione in vetro come la pittura su tavola i pittori fiamminghi del Quattrocento, quasi procedendo per velature, lasciando emergere gli strati sottostanti nella brillantezza della superficie.
C’è poi il valore simbolico delle mani, nell’esigenza di far coincidere supporto e contenuto, per una ricerca di schiettezza in cui materiale e frammenti figurativi si sposano. Le mani che affiorano o sembrano allontanarsi parlano delle azioni che compiono, nel loro stringere per affetto o lealtà, nel farsi tramite di relazioni tra simili. Il profilo grafico si immerge nella pienezza del vetro, a sua volta stretto nella geometria secca del perimetro, o comunque trattenuto entro i margini anche irregolari di una bolla variamente espansa. Perché l'idea è semplice, ma il suo peso etico ha complessità ben maggiore, come elaborata è la tecnica messa a punto da Marcassoli, che accosta la colatura alla lavorazione manuale a caldo.
L'esito ha allora consistenza oggettuale, ma anche un'evidenza pittorica, e intende trasmettere un messaggio, sia esso recepito come memento o come sollecitazione di pensiero. Marcassoli lavora dunque in senso materico, iconico e concettuale, per sedimentazioni che crescono e accrescono, a tratti sull'orlo di soluzioni troppo sapide, più spesso prossime a tridimensionalità di echi fossili, che iterandosi in allontanamento progressivo si attenuano, non prima di essersi definitivamente impressi.

Silvia Ferrari Lilienau
Ottobre 2013

 

Orietta Pinessi

La solidità e la trasparenza del vetro, la sua preziosità, l’armonia delle linee che lo innervano e dialogano con gli oggetti come se fossero tutti elementi di un’unica partitura musicale. Ne esce un’opera di notevole spessore concettuale in grado di comunicare messaggi che travalicano la materia formale in quanto sostanza immobile, facendosi via d’astrazione.
Eppure è un’opera che racconta una storia , un’”altra” storia, perché non scritta, dimessa, quotidiana e forse, proprio per questo degna, finalmente, di essere narrata. Una storia al femminile nuova, dicevamo, perché non basata sull’usato e abusato stereotipo femminista che parla di donne dominate e uomini oppressori.
Nives non cade in questa trappola: la “sua” storia ha, sullo sfondo, Ranica tra la fine dell’’800 e i primi decenni del ‘900: magari disuguaglianza c’era, ma anche uno spazio, mobile o teso, in cui queste donne non erano fatalmente vittime né eccezionalmente eroine. Ed è la raffinata ricerca creativa di Nives che si sostanzia in quest’opera di estrema seduzione e capace di dar vita a una vera e propria storia che spazia agilmente dall’allusione alla esplicita figurazione, in un continuum che risulta sempre in divenire quasi fosse sospeso in una atmosfera atemporale.
Ecco allora questo spazio in cui l’artista ha inserito i suoi, i nostri, protagonisti: un blocco di vetro massiccio lavorato in superficie , all’interno fibre di tessuto e il disegno della mano di una donna che lavora al telaio. Non è soltanto uno sfondo, è qualcosa che ci appartiene, perché sappiamo che è ambiente nostro e lo riconosciamo da tanti segnaliUna donna che lavora al telaio: “…la mia prima entrata allo Zopfi...era il giorno del mio quattordicesimo compleanno…ma mia madre era entrata in tessitura nel 1914 a 12 anni”; donne bambine che dopo un apprendistato assai breve passavano sulle macchine, sui rings della filatura o sui telai.
E questo telaio che incornicia e, in certo modo, imprigiona la mano è proprio uno di quei telai che venivano usati per insegnare alle nuove operaie il lavoro. L’artista ci introduce così ad altre protagoniste di questa storia: quelle “maestre” la cui presenza articolava l’universo femminile , rappresentavano le uniche figure legittimate alla trasmissione di un sapere che era frutto però di una esperienza collettiva di lavoro. Condividevano con le operaie i faticosi processi di adattamento ai filati e alle macchine e contribuivano a configurare quello delle donne come un gruppo a sé, gerarchicamente differenziato da quello degli uomini.
Ma Nives traccia una mano, di operaia, di maestra, di bambina, una scelta che credo rimandi a quei corpi femminili coperti, nascosti sotto grembiuli e cuffie, una fisicità negata o, meglio, percepita e fatta percepire come neutra e asessuata. E ancora di questo universo ci parla la spilla da balia ….donne, madri che supportavano l’economia famigliare conciliando famiglia figli, telaio :”…mi portavo i figli in fabbrica durante i turni di notte…non volevano dormire da soli”.
L’artista ha scelto con cura i suoi oggetti mutuandoli dalla nostra storia antica, ma li ha rivisitati in modo personalissimo con il desiderio di dare a ciascuno un valore assoluto, facendo quasi specchiare in essi tutto quel sentire che prova componendo, assemblando in un unicum poetico ciò che prima era materia inerte.
“Cooperativa di consumo fra gli addetti alla ditta Gioachino Zopfi di Ranica” così la dicitura sulle piccole monete utilizzate nello spaccio interno alla fabbrica. Spacci fondati e voluti dagli industriali per “agevolare” i lavoratori e ridurre il costo della vita, ma, in realtà, una manovra imprenditoriale per giustificare ulteriori riduzioni salariali.
Oggetti poveri, che parlano di povertà accanto ai quali brillano le rocchette in vetro filato e c’è una felice reciprocità tra il colore opaco delle monetine e questi fili scintillanti per la luce catturata che il colore lascia trasparire. Forse è questo che ci rimane del racconto di Nives, piccolo squarcio narrativo senza vincitori né vinti, senza risoluzione, senza finale, rimane questa sorta di colore-luce , col suo continuo gioco di mutazioni , emozioni sottili, fragili equilibri, volubili umori. E’ la materia fluida e allusiva con cui Nives sa dar corpo alle sue intuizioni. Ed è proprio questo straordinario legame con la vita, col pensiero si contrae e si espande nel suo farsi forma a caratterizzare questa ricerca che, attraverso il colore e la preziosità del vetro da un lato e i materiali più diversi dall’altro , in un flusso continuo di smarrimenti e conquiste, rivela, ancora una volta, l’eterno sondare l’essenza del mistero dell’arte, mistero sublime, immerso nella sacralità e proposto come offerta di salvezza.

Orietta Pinessi
Novembre 2012

Domenico Montalto

L'arte di Nives Marcassoli, 52enne scultrice di Pavia dalle origini bergamasche, è una mirabile sintesi di forma, luce, colore. Nei suoi meravigliosi lavori - foggiati nel vetro attraverso una sapiente alchimia e progettualità di calore e di raffreddamento - vediamo rivivere con idee e soluzioni nuove la grande, millenaria tradizione vitrea italiana.
Le opere recenti della Marcassoli sono esposte fino al30 maggio a Milano nella mostra personale dal titolo "Di fuoco e d'acqua" (Galleria 9 Colonne/Spe, Via Tadino 30), organizzata dalla storica rivista D'Ars diretta da Grazia Chiesa, sempre attenta nel valorizzare i talenti dell'arte contemporanea tramite un rigoroso vaglio valoriale. AvvicinataSI al materiale vetro negli anni '90, la Marcassoli si conferma qui artista sensibile e colta, duttile nell'affrontare la sperimentazione. 
I suoi manufatti si presentano come stratificazionj, morfologie arcane e suggestive, nuvole prêt-à-porter, scrigni di sostanza cristallizzata, trasparente, che evoca profondità marine inglobando bolle d'aria, segni e disegni, sfumature, riflessi, crome e grafie, materie varie, memorie ed echi di vita, sensazioni, come una pittura imprigionata nella massa vetrosa, in un prezioso tonalismo fatto di blu profondi, di azzurri eterei, di rosa delicati, di grigi perlacei, e ancora di gialli e di rossi evanescenti. Un mondo liquido, o meglio fluido, rappreso in forme e formazioni che imprigionano frammenti di figurazione, specialmente mani e nudi di donna.
La confidenza con l'elemento vetro (che ha consentito a Nives di realizzare fra il 2000 e il 2007 oltre 100mq di bellissime vetrate per la chiesa del SS. Crocifisso a Pavia), trova in piccoli capolavori quali Silk, Dialogo, Vibrazioni, Vita (2011) «effetti speciali» che vanno oltre il virtuosismo tecnico per documentare invece una poetica, una visionarietà, capace dI riversare nella massa traslucida -attraverso il calor bianco e il gesto esatto, abbinando procedimenti di fusione e di fornace - immagini e suggerimenti iconici.
La Marcassoli si avvale di un complesso e personalissimo artificio di disegno, vetrofusione, colatura da crogiolo e casting in stampo per restituirci microcosmi di sogno e di levità, lasciando alla fiamma e anche alla casualità, controllate con maestria, di plasmare il risultato finale in un variare tattile delle superfici, che risultano ora morbide e lisce, ora aspre e frastagliate.

Domenico Montalto
Maggio 2011

Cecilia Ci

Sculture di vetro per catturare il cielo, per legarsi alla terra, per dominare il fuoco. Per dire la sua appartenenza all’acqua, l’elemento in cui si identifica il suo lavoro, il suo spirito, quando i suoi, sono Pensieri d’acqua. Forme, per sentirsi tutt’uno con la Natura, per fissare un ricordo, un’emozione, per raccontare un brivido, talvolta un’ironia, per descrivere il luogo dove Nives Marcassoli vive e lavora. 
Là, dove scorre il fiume, dove l’erba nasce sopra le fosse e si ode il cra cra delle raganelle. Un inno alla Natura, che si nutre del Senso della Luce, che trasfigura la forma, per racchiudere la luce, per lasciarla filtrare dalla massa vetrosa e tenerla con sé. Straordinari gli effetti, originati da una sapiente alchimia, che avvolgono tutte le molecole, riflessi imprigionati come in uno scrigno, in un prisma di vetro, che restituisce purezza. 
Il vetro, il mezzo con cui si esprime il talento di Nives, il vetro celebrato nel tempo. Il vetro, quell’antica e prodigiosa materia conosciuta in mondi lontani, affascina l’artista che parte da qualcosa di indeterminato per conferire un’anima alla forma, originata dalla fusione di vetri tagliati, assemblati, a volte precedentemente fusi. Nives intuisce l’opera, la elabora col pensiero, poi si abbandona alla sua creatività e lascia al fuoco, gestito, controllato con sapiente maestria, il tocco finale. Ed è proprio ai segreti nascosti nella sua forza, al dialogo col misterioso dio, con l’elemento che plasma, fonde la materia vetrosa, ad affidare il suo progetto, il suo lavoro. 
Quella di Nives Marcassoli, è una passione che guarda alla scultura di vetro senza accontentarsi di una forma nata per caso: ne fa nascere una seconda e poi una terza e via via un’altra ancora, se il risultato non è quello che voleva. Verso la possibilità di plasmare l’idea, di confermare i segni, il colore, di ospitare elementi in metallo, di creare superfici lisce, ruvide o frastagliate. Dare vita a forme leggere e trasparenti come organza, come pizzi del vestito di una bambola: così, la scultura di luce, fragile e rosa, dal titolo Passione d’organza.
E la materia vetrosa si carica di colore, scopre la sua nuova identità, si trasforma, in obbedienza al volere del suo creatore, si trasforma per andare incontro ad una nuova espressività e regala bellezza. È un risultato che nasce dalle sfide, perché solo così questa donna si sente viva: è la forza che spinge ad attraversare i limiti, quelli della fisica, quelli della mente. E’ là, che trova ragione, il fare di Nives. Nella sua opera, si nasconde quella spinta verso la ricerca, verso l’agire creativo che accompagna gli uomini sin dall’alba della vita. Attirata dal vetro, da tempo la sua passione, dà origine a oggetti d’uso, intrisi di intensi cromatismi e segni eleganti. Inevitabile il suo approdo alla scultura. Non sono io che l’ho cercata, è la scultura che ha trovato me, sarà lei stessa a dire.
Tutto il suo lavoro precedente e la sua ultima dedizione, non sono altro che la manifestazione di un unico linguaggio, un inno alla vita che nasce dalla materia, un inno alla luce che infonde espressione, all’acqua che genera la vita stessa, al cielo che sta sopra di noi, là dove vanno a morire le anime. La vita è un esile spazio, il cielo è così vicino, scriveva un grande della fotografia italiana.
La cifra stilistica, di questa eclettica interprete, caratterizza un lavoro in divenire, denso di richiami e di soluzioni stilistiche, che si avvalgono di notevoli capacità tecniche e creatività: un cammino, alla ricerca di un nuova espressione tridimensionale, nel segno di una antica attualità.

 

Cecilia Ci
Settembre 2010

Bobo Santo Otera

Sono pezzi di corpo…mani che rincorrono gli ultimi momenti di una luce azzurrina. Sono masse di vetro trasparenti con dentro, memorie acquatiche. Colori che cercano luce, emergono da vibrazioni interne della materia, e nel vetro, freddo e lucido, trovano riposo.
Le più recenti opere di Nives Marcassoli, non rinunciano alle difficoltà tradizionali di chi lavora il vetro, ma dopo aver superato i temi della trasparenza e delle sue implicazioni retoriche ed etiche, si sente che queste sculture di pesante vetro vibrante, sono lì per ricordarci il continuo mutare della materia e il misterioso rumore del Pianeta. I temi sono ricorrenti: L’infanzia negata dallo sfruttamento, il gioco dei sassi nel fiume lì vicino a casa e il corpo… Dove il disegno diventa protagonista assoluto, nel misterioso movimento del vetro che lo imprigiona.
Nives inventa i colori delle sue opere, in una “fornace”, sentimentale fatta con frammenti disegnati del mondo, corpi dentro altri corpi sembra dire…mentre vado via dopo una breve visita nel suo laboratorio. All’imbrunire, nella macchina che mi riporta a casa, mi sorprende ancora il ricordo di una sottile sfumatura azzurrina, dove una mano ha incontrato una nuvola.

Bobo Santo Otera
Dicembre 2010