Per dire la sua appartenenza all’acqua, l’elemento in cui si identifica il suo lavoro, il suo spirito, quando i suoi, sono Pensieri d’acqua. Forme, per sentirsi tutt’uno con la Natura, per fissare un ricordo, un’emozione, per raccontare un brivido, talvolta un’ironia, per descrivere il luogo dove Nives Marcassoli vive e lavora. Là, dove scorre il fiume, dove l’erba nasce sopra le fosse e si ode il cra cra delle raganelle. Un inno alla Natura, che si nutre del Senso della Luce, che trasfigura la forma, per racchiudere la luce, per lasciarla filtrare dalla massa vetrosa e tenerla con sé. Straordinari gli effetti, originati da una sapiente alchimia, che avvolgono tutte le molecole, riflessi imprigionati come in uno scrigno, in un prisma di vetro, che restituisce purezza. Il vetro, il mezzo con cui si esprime il talento di Nives, il vetro celebrato nel tempo. Il vetro, quell’antica e prodigiosa materia conosciuta in mondi lontani, affascina l’artista che parte da qualcosa di indeterminato per conferire un’anima alla forma, originata dalla fusione di vetri tagliati, assemblati, a volte precedentemente fusi. Nives intuisce l’opera, la elabora col pensiero, poi si abbandona alla sua creatività e lascia al fuoco, gestito, controllato con sapiente maestria, il tocco finale. Ed è proprio ai segreti nascosti nella sua forza, al dialogo col misterioso dio, con l’elemento che plasma, fonde la materia vetrosa, ad affidare il suo progetto, il suo lavoro. Quella di Nives Marcassoli, è una passione che guarda alla scultura di vetro senza accontentarsi di una forma nata per caso: ne fa nascere una seconda e poi una terza e via via un’altra ancora, se il risultato non è quello che voleva. Verso la possibilità di plasmare l’idea, di confermare i segni, il colore, di ospitare elementi in metallo, di creare superfici lisce, ruvide o frastagliate. Dare vita a forme leggere e trasparenti come organza, come pizzi del vestito di una bambola: così, la scultura di luce, fragile e rosa, dal titolo Passione d’organza. E la materia vetrosa si carica di colore, scopre la sua nuova identità, si trasforma, in obbedienza al volere del suo creatore, si trasforma per andare incontro ad una nuova espressività e regala bellezza. È un risultato che nasce dalle sfide, perché solo così questa donna si sente viva: è la forza che spinge ad attraversare i limiti, quelli della fisica, quelli della mente. E’ là, che trova ragione, il fare di Nives. Nella sua opera, si nasconde quella spinta verso la ricerca, verso l’agire creativo che accompagna gli uomini sin dall’alba della vita. Attirata dal vetro, da tempo la sua passione, dà origine a oggetti d’uso, intrisi di intensi cromatismi e segni eleganti. Inevitabile il suo approdo alla scultura. Non sono io che l’ho cercata, è la scultura che ha trovato me, sarà lei stessa a dire. Tutto il suo lavoro precedente e la sua ultima dedizione, non sono altro che la manifestazione di un unico linguaggio, un inno alla vita che nasce dalla materia, un inno alla luce che infonde espressione, all’acqua che genera la vita stessa, al cielo che sta sopra di noi, là dove vanno a morire le anime. La vita è un esile spazio, il cielo è così vicino, scriveva un grande della fotografia italiana. La cifra stilistica, di questa eclettica interprete, caratterizza un lavoro in divenire, denso di richiami e di soluzioni stilistiche, che si avvalgono di notevoli capacità tecniche e creatività: un cammino, alla ricerca di un nuova espressione tridimensionale, nel segno di una antica attualità.
Giochi Sospesi
Questa scultura riproduce e reinterpreta il gioco Mondo, conosciuto da tutti noi e giocato in tutti i continenti fin dall’antichità. Da quei tempi ad oggi ha percorso tutte le strade della terra, il suo schema viene ancora tracciato con gessetti o bastoncini là dove c’è un bambino. Il suo significato più profondo ed iniziatico mi ha dato lo spunto per una riflessione sulla condizione dell’infanzia agli inizi del ‘900. Come tutti sappiamo avendo giocato almeno una volta nella nostra infanzia a questo gioco, si salta di casella in casella, in equilibrio su di una gamba sola. L’ho interpretato come il simbolo di un’infanzia precaria, in equilibrio tra la fame e il lavoro della terra, tra la promessa di un futuro possibile e gli effetti di una crescente industrializzazione. Per i giovanissimi operai dello stabilimento di filatura e tessitura Gioachino Zopfi, in Ranica, agli inizi del 900, questo voleva dire sospendere presto l’età dei giochi, vedere minacciata la già precaria salute da un lavoro duro e pericoloso, in ambienti malsani. Ho immaginato questo bambino di circa 10 anni che lancia il suo sasso nella casella 3 e comincia il suo percorso. Una regola di questo gioco dice che quando si perde l’equilibrio o si mette il piede sulla riga, come lui ha fatto alla casella 4 e 6, bisogna ricominciare da capo. Per lui ha voluto dire saltare dall’infanzia al mondo del lavoro. I licci posizionati di fronte alla casella 6, recuperati presso i magazzini dell’attuale tessitura in Ranica, sono quelli usati usati dagli operai della Zopfi fino al 1983 e servivano loro per imparare il lavoro ai telai. Il pezzo di tela impresso nella casella 8 ci ricorda che il lavoro impegnava gli operai, bambini compresi, fino a 13 ore al giorno. Sovente incidenti più o meno gravi colpivano questi bambini (come possiamo leggere nella casella che riproduce un documento dall’Archivio di Ranica e riporta il timbro della ditta: Gioachino Zopfi, fabbrica in Bergamo, Agosto 1899. "Piazzoli Michele d’anni 12, operaio addetto alla filatura Giò Zopfi in Ranica, ha riportato accidentalmente una ferita da punta alla pianta del piede sinistro, nel giorno 9 Agosto. Per la guarigione di detta lesione occorreranno circa 10 giorni. Per il medico Gandolfi... segue firma") Anche se questa realtà pare a noi ormai lontana, in molti paesi del mondo i bambini sono ancora oggi costretti dagli adulti o dalla necessità a sospendere i giochi. Nella casella 9 sono rappresentati i continenti: dove il colore è più intenso, più alta è la percentuale ancora attuale di lavoro minorile. L’impronta del piede che si tinge di un colore sanguinante, lo schema stesso del gioco disegnato ricordando una croce, rappresentano un’infanzia e spensieratezza spente e mortificate. Nell’ultima casella si intravede appena, si intuisce, una scritta... cielo... È il simbolo di un cielo e di una serenità che a fatica si riesce a leggere nel destino di molti bambini nel mondo, ancora oggi per molti di loro non è concesso di raggiungere di salto in salto, di fatica in fatica, quella casella alla quale tutti aspiriamo fin dalla nascita: un sereno e possibile cielo.